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Ancoranti chimici e consolidamento: il comportamento su pietre naturali

Posted by Nicola Branchinipiù di 7 anni fa

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Il patrimonio edilizio sta invecchiando e necessita interventi di miglioramento o riparazione. Oltre al fattore tempo, influente sul degrado, la maggior parte delle costruzioni esistenti presentano dettagli strutturali carenti alla luce delle attuali conoscenze e codici di progettazione.

Il problema è ancora più evidente in zona sismica e per costruzioni in muratura, le quali risultano sensibili ad interventi di consolidamento importanti.

Ci sono molte tecniche che possono essere implementate su edifici in muratura. In particolare, nel retrofitting degli edifici esistenti, un grande sviluppo è stato ottenuto con l’uso di sistemi di ancoraggio chimici post-installati.


Anche se la legislazione specifica sul patrimonio culturale esistente non suggerisca l’utilizzo di resina su edifici storici e monumentali, a favore dell’uso di malte speciali, esistono molte applicazioni in cui l’uso di prodotti chimici risulta più adatto delle malte. Questo accade soprattutto nel caso di installazioni su pietra naturale o per supporti ad alta resistenza ancoraggio.


Diversamente, non esistono vincoli particolari d’uso per i sistemi di ancoraggio sul patrimonio di edifici in muratura, non facenti parte di uno specifico ordine di conservazione o di elenchi speciali di edifici.


Come valutare il comportamento su pietre naturali? La risposta è tutt’altro che scontata: se, infatti, esistono diversi studi e linee guida per la qualificazione ed il calcolo di ancoranti su materiali “standardizzati” (è il caso delle linee guida ETAG001 per fissaggi su calcestruzzo, e ETAG029 su tipologie murarie rispondenti a normative europee), la mancanza di informazioni sul comportamento di questi sistemi su pietra o muratura storica è evidente.

Un interessante studio condotto dalla Prof.ssa Loredana Contrafatto, docente di Meccanica delle Strutture Murarie per il corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Strutturale e Geotecnica dell’Università di Catania, e dall’Ing. Renato Cosenza, è stato riportato nell’articolo Behaviour of post-installed adhesive anchors in natural stone, pubblicato nella rivista Construction and Building Materials 68 (2014) 355–369.


Durante l’indagine sono state effettuate delle prove statiche di pull-out su tre tipologie di blocchi di pietra, tipiche della zona orientale della Sicilia:

  • arenaria di Palagonia – 15x25x45 cm3
  • basalto dell’Etna – dimensioni variabili da 20x20x40 cm3 a 30x40x60 cm3
  • un calcare dalla catena montuosa di Nebrodi – dimensioni variabili da 20x30x40 cm3 to 40x40x60 cm3


I test sono stati eseguiti utilizzando delle barre filettate 4.6 ancorate mediante resina a base epossidica HIT-RE 500 (ora sostituita con la resina HIT-RE 500 V3, ndr). Sono stati testati tre diamentri (10 mm, 14 mm, 20 mm) installati su fori con 4 mm di diametro in più, opportunamente puliti mediante spazzolatura e aria compressa prima dell’ancoraggio. Tale operazione si rende necessaria per consentire alla resina il raggiungimento del massimo valore di adesione.


Esecuzione di una prova di estrazione su un blocco in basalto


Sono state effettuate 81 prove, su 3 diverse lunghezze per ogni diametro: 3Φ, 5Φ, 10Φ, dove è stato riscontrato il seguente comportamento:

  • per il basalto dell’Etna ed il Calcare di Nebrodi, con lunghezze di ancoraggio superiore a 5 diametri è stato raggiunto lo snervamento della barra
  • per l’arenaria, con caratteristiche di resistenza meccaniche inferiori, è stata riscontrata la formazione di un cono di rottura del materiale base in ciascuna configurazione


Rottura conica dell’ancoraggio riscontrata nel blocco di arenaria durante le prove di pull-out

Al fine di costruire un modello numerico del comportamento a rottura dell’ancorante, sono state effettuate delle simulazioni mediante software agli elementi finiti, che hanno mostrato come:

  • per il basalto e il calcare con profondità di ancoraggio elevate è risultata possibile una modellazione affidabile e compatibile con i risultati sperimentali. Il comportamento dell’ancorante è infatti legato alle caratteristiche elasto-plastiche dell’acciaio, che ne governano la rottura;



  • per profondità di ancoraggio minime, o materiali di scarse proprietà meccaniche come l’arenaria testata, la modellazione risulta estremamente complessa. La rottura conica del materiale base governa il comportamento in questa configurazione e si richiede una caratterizzazione dettagliata di tutte le componenti in gioco (acciaio, resina e lo stesso materiale base);

Si ringraziano la Prof. Loredana Contrafatto e l’ing. Renato Cosenza per la gentileconcessione.

Per sapere come effettuare delle prove di trazioni in situ: https://www.hilti.it/prove-di-trazione-in-situ


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